lunedì 16 gennaio 2017

Alessandro Magno Baricco

L'altra sera in TV ho visto Alessandro Baricco che in un teatro, credo di Mantova, parlava al pubblico del Magno suo omonimo. Seduto dietro una mega-cattedra, ne inquadrava l'epopea come uno story telling, anzi, come successivi story telling proposti al mondo fino a quando non ha saputo più raccontarne uno nuovo ai suoi ufficiali. Ciò avveniva di fronte al fiume Indo. Lì la milizia macedone decise di non seguire il suo capo, anzi il suo dio, ormai ammorbiditosi, agli occhi dei rudi soldati balcanici, negli usi persiani.
Non c'è dubbio, Baricco rende. Lo aiutano l'espressione facciale da putto furbo e l'utilizzo, immagino studiato, di messaggi allusivi: a non si sa cosa, ma restituiscono l'idea di un pozzo di sapere che ci risparmia per pietà. Se poi l'abbia (probabile) o meno, non è rilevante. Con quella bocca a bocciolo, sembra assaporare quello che narra, e questo certamente piace.
Insomma, fermo sull'Indo insieme all'omonimo, propone una cosa interessante. Il tragitto del viaggio del Magno in Asia. Dapprima lo traccia su una carta fisico-politica di oggi ed è interessante constatare insieme al piemontese quanti Paesi il macedone abbia attraversato in lungo e largo, avanti e indietro. E qui, di fronte alla rimanente vastità dell'Asia, si chiede perché davvero, al di là del rifiuto dell'esercito (che comunque non è roba da poco), non abbia continuato. E allora compie un'operazione in sé corretta: ovvero, rapporta il disegno alessandrino alle conoscenze, al pensiero, alla concezione del mondo del tempo. Ne deriva anche una teoria per la quale per rapportarsi davvero all' "altro" occorre "entrare" nella sua "mappa". Dunque tira fuori una carta geografica "antica" e qui vi traccia di nuovo l'itinerario e dimostra che Alessandro Magno si fermò all'Indo perché lì terminava la Terra rappresentata e il suo scopo - il suo story telling! - era sempre stato quello di arrivare alla fine del Mondo. Arrivato, aveva terminato lo story telling.
Ho da obiettare.
La carta che presenta, purtroppo l'ho vista male. Ricordava molto l'ecumene di Erodoto: di sicuro, le terre emerse erano circondate completamente dal gran fiume Oceano. Ma Erodoto, un secolo prima del Macedone, aveva già abbandonato l'idea di queste acque continue intorno al mondo. Probabilmente aveva accettato anche che il pianeta fosse sferico, ma per comodità lo continuò a rappresentare piatto. Però la sua carta, dalla parte dell'Asia, si lascia a una indefinita sfumatura: come a dire che il mondo continua, solo che non lo conosciamo ancora.
Allora quale migliore occasione per un geniale megalomane cresciuto sotto gli insegnamenti di Aristotele? Affrontare la conoscenza, lanciarsi alla scoperta dell'ignoto!
E poi, per quanto largo sarà l'Indo, si vedrà pure che di là il mondo continua. Anzi, anche Baricco riferisce che qualcuno indicò in pochi mesi il restante viaggio da compiere.
La ricostruzione non regge.
Insomma, sarà che ho studiato storia, ma a me queste "botte" da fico non piacciono. Anche la storia dello story telling mi è sembrata più autocelebrativa che sensata. Avrò senz'altro torto io.
Certo, Baricco è un fico. Ne è tanto convinto che ha convinto tutti!
Oh, in quel che ho visto, di Pascoli nessuna traccia. Eppure in "Giungemmo, è il fine" già aveva saputo riassumere tutto. (Cfr. "Alexandros")

1 commento:

  1. Ben trovata l’osservazione.
    Ad abundantiam:
    Erodoto sembra vivere in se stesso il dibattito. Parte nelle Storie da un’immagine d’un mondo piatto (III, 104) ma, via via che approfondisce le sue conoscenze geografiche ed astronomiche, revisiona le sue posizione di partenza, come quando critica la rappresentazione della Terra in una mappa circolare (IV, 36, 2). Tutto però invita a pensare chei dubbi e tensioni trovati in Erodoto, che poi rifflettono i dubbi e tensioni dell’epoca, fossero stati risolti alla fine del secolo V. Certo nell’opera di Aristote, come tu dici.
    Eppure… eppure Aristote, come forse prima Erodoto, pare sostenere che, pur essendo la Terra sferica, la superficie “abitata e conosciuta” avrebbe la forma d’un rettangolo (Aristote, Meteorologica, 362b). Al di là del quale quindi altro non si può aspettare che i pericoli d’un immenso mare.
    Cosa si fa, allora…? Correre il rischio?
    È piú bello il sogno, dici.
    È piú bello il sogno?

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