lunedì 28 marzo 2011

da "Gran Sasso"

E dunque volò.
Era a mezza costa su un versante a bacìo sospeso tra correnti d’aria incerte della propria vocazione, se a discendere o ad ascendere, quando repentino da sotto una cengia piuttosto alle sue spalle uscì un fiotto di nube come una slinguata che lo bagnò, appesantendolo. Avvolgendolo e superandolo divenne un volto demoniaco eppure non terrifico, ma sorprendente per la sua presenza in quell’ambiente sempre angelico. Sempre angelico. Elevazione, angeli. Nuvole, ali.
E invece: pietre trite calde, démoni. Schiacciato al suolo rovente, démoni. Sempre démoni. Oppressione, forconi.
Altre facce gli erano sempre comparse dalle rocce modanate dalla natura, dal caso, dal mistero. Erano magari visi saccenti o muti come fermati in un attimo banale, profili da scacciare nel baleno di un fare spallucce; ma le voci presunte da essi provenienti erano solo suggestioni o non piuttosto richiami da dimensioni diverse?
“Si tacciano!” aveva gridato più d’una volta dentro di sé, rivolto a un interlocutore superiore, arcano termine ignoto.
Non erano tuttavia figure cattive, talvolta appena surreali, spesso mutuate da rappresentazioni assorbite nel tempo. Ad ogni modo, se esse stesse non erano d’angeli, degli angeli si sentiva il profumo, anche se gli angeli non profumano.
“No, e se invece profumassero? Di rose, ecco. Certo, di rose, come quei frati in odore di santità che così chiamano donne in attesa di chiamata. Povere donne. E povero Dio.”
Insomma, erano più dalla parte degli angeli.
Non da quella dei démoni. No. Quanti démoni in giro, intorno, insieme. Però mai lassù, mai da sotto una cengia in un fiotto di nube.
Non parlava, comunque. Quelle di parte angelica parlavano, se c’erano. A tratti parlavano anche tanto. Ma adesso niente.
Adesso parlavano soltanto le voci dei gracchi.

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