mercoledì 23 marzo 2011

Rijksmuseum

Visitare il Museo Statale di Amsterdam fa comprendere immediatamente l’evoluzione del pensiero pittorico di Rubens. Seguendo il percorso che è sommessamente suggerito, si scopre il primo Rubens sublimemente didascalico, dai mille particolari descritti alla fiamminga nella brillantezza della loro luce. Si assiste poi alle tappe del percorso che lo porterà a capire come la pittura non sia fotografia (più di due secoli prima dell’invenzione di questa), ma trasmissione di valori. In dialogo con Caravaggio, ma anche con i grandi veneti del ‘500 (cui pure il lombardo doveva qualcosa), si ribella alla concezione del pittore descrittore per volgersi al pittore poeta. Passa dal racconto, o anche romanzo, alla poesia: lirica o epica o cosa, ma poesia. Ut pictura poësis, da Orazio e ancora.
E dopo Rubens, il Secolo d’Oro. Forse soffocato da troppa ricchezza?
Eppure, Hals coi suoi tratti quasi buttati via raccoglie parte della poesia rubensiana. Ma la vera essenza di questa non era la scrittura, era la sua moralità.
Questo poteva non averlo capito Pieter de Hoch. Non Vermeer.
La luce crea, la vita è per la luce. Tutto il creato è a causa della luce. Non come in Caravaggio, per il quale il valore e la forza morali della luce portano la vita, sottratta così a malapena, seppur intensamente, alla tenebra di un peccato ch’egli conosceva bene.
Vermeer non conosceva il peccato? C’è un’ombra nei suoi dipinti, ma è leggera: il peccato può arrivare, caderci non è difficile, ma tanta è la luce!
Non è però una luce che esplode miracolosa come per il borromeiano Caravaggio. È una luce di tutti i giorni, miracolo perpetuo concesso gratuitamente da Dio.

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