giovedì 3 marzo 2011

Un grande campeggio fuori stagione

Il Mozambico è un grande campeggio. Fuori stagione.
Sì, decisamente. Fuori d’ogni stagione data agli umani. Sabbia tendente al rosso ovunque, sulle strade di sabbia e sulle strade di puzza nera, sotto le infradito e dentro i piedi, intorno alle radici di colture che soffrono il loro essere costrette laggiù. Non gli umani né le piante da alimentazione, solo gli alberi possono affondare le radici più sotto e fanno ombra, un’ombra sempre sfruttata in un immutevole fuori stagione.
Quante storie sottende il Mozambico: tragedie enormi e piccole banalità, in un afflato dolciastro soffiato dai venti dell’oceano. Lungo l’Oceano Índico si affolla la vita del Paese, più qualcosa lungo i corridoi che mettono in comunicazione questo con i Paesi dell’entroterra dell’Africa australe.
Sono storie di schiavitù e guerra intestina, racconti di fiabe morali e cronache di aberrazioni delle coscienze. Ma sono anche ricordi di sorrisi e di occhi, teneri e potenti nella malinconia di un estate lontana quando anche quasi costante nel clima. Sono descrizioni di vite distanti da noi non solo per la geografia. Speranze, delusioni, tentativi; caparbietà e sconsolata contemplazione dei giorni.
Sono le storie di Luis e della sua ferita in testa o di Ermelinda e dei tre anni di vita che ha perso; quelle indecifrabili di Agostino e del suo rapporto da italiano con i locali o di Beatriz e dell’energia con la quale prepara la missa das crianças; sino alle mille e mille di donne e bambini sotto bidoni pieni d’acqua e agli altrettanti sorrisi con i quali salutano la storia di te che passi.
Raccontarle non è facile; ma forse ci proverò.
 

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