venerdì 11 marzo 2011

Triste Paese

Assistetti a un congresso di pedagogisti. Erano di varie correnti di pensiero e di altrettanti orientamenti politici. Tutti si lamentavano della scuola italiana e dell’università e della ricerca. Ovvero: della politica che le trascura. Altre nazioni assegnano due volte mezzo di quanto non faccia l’Italia, in percentuale rispetto al PIL.
Triste Paese quello che non investe nel proprio futuro.
Trent’anni fa si correva la mattina per un posto delle prime file nelle aule di Fisica. Oggi ci sono quattro gatti. Allora incontravi professori giapponesi sulla porta dei bagni, ed erano imbarazzanti sequele di inchini fuori tempo. Ora che bisogna cercarsi un posto da ricercatore a Praga, fuori tempo siamo noi. Perché l’Università di Praga compra il macchinario che serve a quella ricerca, e poi sfrutta il brevetto che ne consegue.
Triste Paese quello che non vede il proprio futuro.
Molti scappano, molti ci pensano, pochissimi ritornano. Se non fuori tempo massimo. La crisi è mondiale però qui non si percepisce come contingente, ma duratura con rischio di eterna. Da tempo calano i figli; ci si sposa meno; si comprano tombe per non farle gravare sui discendenti. Quattro soldi: si spendono a mangiare. Sembra un comportamento animale. Gli animali non conoscono il domani, solo un’alba già vissuta. Ma l’aggressività della società italiana non la descriverebbe Lorenz. Si azzanna per vincere subito tra le belve, non si ragiona per costruire un avvenire da uomini.
Triste Paese quello che non crede nel proprio futuro.

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