mercoledì 11 maggio 2011

Gerusalemme parte IV - fine

Davanti all’albergo non c’è nessun tassista. Entro nello Shabbat elevator, l’ascensore dei giorni consacrati dove non devi premere i pulsanti: entri, sali all’ultimo, poi riscendi piano per piano, le porte scorrevoli si aprono e scendi. Non prima di aver dovuto spingere una porta. – Contestai vivamente questo fatto. Se pigiare il bottone è lavoro, spingere una porta metallica non lo è? In tutti gli alberghi ci sono anche gli ascensori non shabbat; c’erano anche in quello, però arrivavano solo al 4° piano. Noi eravamo al 7°. Noi che ebrei non siamo. – Lo è invece il rabbino che ci incontro dentro. Lo conosco già. Lo detesto. Con il tuo cappello nero e la tua barba imprecisa, non puoi permetterti di fare un pesante complimento a una donna davanti al suo uomo. E pensare di essere spiritoso. Non ti ho trovato spiritoso, rabbino. E ora te lo dimostro. Nonostante la febbre. Pure se sei di Praga. Pure se ci avevi invitato ad ascoltare i canti preliminari al banchetto della sera di Capodanno. Tanto lo so che se non ci fossi stato io saresti stato più contento, invece c’ero. E se non c’ero era lo stesso.
Perché uno, finché può, le donne se le sceglie.
Rabbino di Praga pieno di sé. Forse era già ubriaco, la sera prima. Gli arabi sono i più sfigati. Non solo si perdono anche loro la salsiccia di Monte San Biagio o genericamente il culatello, il jamon serrano o il pâté de tête de porc, ma nemmeno possono o potrebbero gioire d’un Brunello di Montalcino, di una stout irlandese o d’una šljivovica artigianale. Tutte cose, queste seconde, che il barbuto rabbino doveva conoscere adeguatamente ma che non giustificavano la sua tronfiezza e la sua volgarità. Scendi, idiota! E non in senso dostoijevskiano.

Scese.
Mi chiesi quante Gerusalemme avesse visto. Pensai: meno di me. Lui vide di certo la Gerusalemme vecchia e la nuova: ovvero l’antica città di impianto arabo circondata dalle mura e la nuova, ariosa estensione ebraica, due città invero poco comunicanti. Sicuramente sapeva e forse aveva cercato di comprendere anche quella virtuale, cioè quella realtà di sentimenti che è la Gerusalemme dei cristiani, trascurata dagli uffici del turismo israeliani ma prepotentemente viva. Emozionante: a noi aveva addirittura commosso. È probabile che il volgare rabbino di Praga non avesse affatto voluto considerare la città araba, nella cui parte più drammatica invece io mi ero spinto.

La città dell’unione è stata ridotta a città delle divisioni. È un luogo che divide, oggi, Gerusalemme. La basilica del Santo Sepolcro; anch’essa divisa. E nel nome e nel luogo della morte e resurrezione del Figlio dell’Uomo i fratelli cristiani litigano e si percuotono. Un emblema alieno. Icona delle tante Gerusalemme dentro una sola.

E ne mancava a tutti una. Un’altra. Non più visibile. Non araba, bensì degli arabi. Palestinese. Occultata. Lo capimmo smarrendo la strada per Gerico.

Improvvisamente ci si parò davanti. Zitto.
Ci annichilì con la sua assenza di sentimenti. Sporco.
Rimanemmo disorientati per il dolore di quel lungo muro. Grigio.

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