lunedì 2 maggio 2011

Gerusalemme parte III

Torno indietro.

Ma la febbre rimane.
Ora sono anche pieno di adrenalina. O di cosa, chissà! Per fortuna mio padre a quattordici anni mi insegnò a guidare in retromarcia, erano occasioni in cui andava in retromarcia anche il tempo. Ma insomma, ridiscendo cauto la stradina, trovo uno spiazzetto dove nessuno potesse rivendicare l’intrusione in proprietà privata, mi giro e senza strappi vado via. Ma dove? Che sia stata una improbabile salumeria o no, mi viene in mente il cristiano con gli occhiali quadrati. Con lui ci eravamo capiti, vorrà dire che accetteremo la sua guida. Per non esserci fatti vedere, la febbre è pure un’ottima scusa. Nemmeno lo sembra. Devo tornare su e andare alla città vecchia. Lo faccio. Risalgo dalla fenditura della storia verso il sole pieno delle alte colline giudee.
Devo entrare da Jaffa Gate, la Porta di Giaffa, la stessa che abbiamo fatto camminando tranquilli per dieci minuti dall’albergo e subito dopo la quale, buttandosi nei calmi vicoli a sinistra, lui starà come l’altra volta seduto in strada a fumare una sigaretta, la camicia aperta sulla canotta, la croce al collo bene in mostra, a parlare con suoi amici. Dove posteggerò? La circonvallazione alle mura non è esattamente un posto comodo per cercare parcheggio, ma ho fretta e mi sento anche un po’ debole, non ho voglia di camminare a lungo. Troppo preoccupato, mi ficco nel tunnel che passa oltre la porta. Per fortuna dura poco, appena riemergo mi butto a destra e ricorro ancora alla retromarcia, ficcandomi di culo in un minuscolo parcheggio. C’è persino un posto. Jaffa Gate è a pochi passi, tutto sommato. Da pedone, passo ovviamente proprio per l’antica porta e non dal buco automobilistico praticato accanto. Dentro, a una parete rivedo il contenitore metallico, un po’ arrugginito, della mezuzah, la pergamena arrotolata da sinistra a destra che reca scritta a mano dagli scribi la doppia citazione della Torah “E iscriverai queste parole sopra gli stipiti della tua casa e sulle tue Porte”. Di chi saranno queste Porte arabe?
Appena varco questo mistero, all’angolo della prima a sinistra, una inequivocabile freccia invita a superare il Money Exchange ed entrare nella stradina: Jaffa Gate Pharmacy - open daily 9am-8pm. Con lo sguardo speranzoso e disilluso insieme alliscio lo spigolo opposto, più vicino a me, per sbirciare il prima possibile se le serrande sono alzate. Sono quegli attimi dove impari a conoscere il tuo punto di rottura. Non conta la banalità della circostanza. Capisci se sei un bimbo che vorrebbe la mamma a proteggerlo oppure un duro che non si arrende.
È aperta.
Entro, c’è un dottore chiaramente palestinese che parla un inglese universitario. Attendo pochi istanti la cliente prima di me, poi lui mi da le medicine, anche consigliandomi. Esco, in quattro minuti ritorno alla macchina, in altri tre arrivo all’hotel. Sette minuti in tutto. Il numero della perfezione. Forse l’internet ebreo è calibrato su un passo più veloce. Ne deve aver calcolati sei, il numero dell’imperfezione. È probabilmente per questo che non gli risultava la Jaffa Gate Pharmacy. Una farmacia araba. A due passi dall’albergo. Avevo girato tutta la mattina e rischiato una brutta avventura. Araba o ebrea?

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