mercoledì 4 maggio 2011

Zeus e Mnemosine 4

Per non parlare di quanto voglia educarci il Velazquez de “Las meninas”. Se il Van Eyck del “Ritratto dei coniugi Arnolfini” nel piccolo specchio in fondo alla stanza ci aveva reso tutti testimoni del momento, forse addirittura tutti artisti esecutori dell’opera, mostrandoci appunto da testimoni o pittori, comunque immedesimati in qualcuno presente alla scena, Velazquez ci battezza inequivocabilmente re: chiunque guardi il dipinto impersonifica, è, il re (o la regina), specchiati nella parete di fondo. Così ci educa intensamente, facendoci ricordare la grandezza che alberga in ciascuno di noi e che, avendola portata a livello cosciente, attraverso l’esperienza estetica ci eleva a re. E poco importa se è il sommo pittore a indicarsi lui quale king maker.
Klimt offre una nuova lingua per esprimersi a colori e materie che provengono dalle lunghe esperienze artistiche dell’oriente europeo; contemporaneamente, dà a noi la possibilità di parlarla, riappropriandoci in chiave contemporanea di quelle reminescenze.
Anche quando il ricordo apparirebbe negato in termini, invece riaffiora ed è presente. Impressionismo: pittura en plein air, osservazione diretta. Ma i colori sull’acqua ad Argenteuil non sono quelli che Monet ha visto (creduto d’aver visto) ma quelli che rielabora. E anche se sembra una memoria corta, in realtà vi si sovrappongono memorie remote che lo fanno optare per “quella” scelta di colore. La pennellata rossa è il ricordo del calore del sole e il ricordo della sua associazione a un colore “caldo” che egli individua all’interno dell’impasto cromatico sulla sua retina. Dunque nel suo quadro ci sono percezione e cultura, e tramite le sue pennellate singole ci educa, a sua volta, alla coscienza del nostro percepire e del nostro bagaglio culturale.
Questa condizione in cui l’arte ci svela cose di noi stessi apre una strada maieutica alla rivelazione e alla conoscenza. Da questo che è praticamente un momento di agnizione inizia un processo formativo che saprà volgersi al mondo circostante. Di nuovo l’arte e il suo fattore, l’artista, potranno intervenire esercitando una funzione educativa specifica, mirata o no, intenzionale o meno. Certamente questa è una sede anche per invocare una simile intenzionalità.
La visione di un’opera d’arte rivelatrice costituisce una sorta di “incidente critico”, cioè l’interruzione o quanto meno la messa in crisi di una routine all’interno di un sistema percettivo della realtà e comporta l’avvio di un’analisi riflessiva dalla quale scaturisce la richiesta di maggiori informazioni. Sono evidenti gli elementi che configurano tutto ciò come l’inizio di un processo educativo.
    L’artista-didatta può dunque deliberatamente presentare proposte volte all’educazione al patrimonio culturale.

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