martedì 31 maggio 2011

Uguali, no. Sulle pensioni per i repubblichini

Non è una materia che senta mia, in verità, e nemmeno la notizia è poi più eclatante di altre; però qualcosa sulla proposta di legge di equiparare ai fini pensionistici partigiani e repubblichini non mi va giù.
Intendiamoci: non ho mai subito il mito partigiano e il luogo comune che la Repubblica sia fondata sui valori della Resistenza mi ha sempre lasciato scettico. Ho perfetta coscienza che molti hanno approfittato del dichiararsi partigiani per regolare conti extrapolitici e assolversi dal puro assassinio. Che più d'uno abbia optato per la montagna quando gli altri ne erano scesi.
Così come immagino che, avessi avuto vent'anni nel '43 e la mia idiozia dell'età si fosse vissuta in Veneto, avrei persino potuto essere repubblichino anch'io; e che tanti lo siano stati per ragioni analoghe. Ho anche sempre reputato piazzale Loreto un comprensibile ma ingiustificabile scempio.
So, figurarsi, che la storia la scrivono i vincitori: anche se non mi sembra che i veri partigiani, quelli che hanno combattuto credendo negli ideali, quelli che sono stati torturati e uccisi, quelli che si sono assunti l'onere di decisioni tremende, siano poi stati i vincitori, che siano stati loro a mettere a frutto la vittoria.
Ma, insomma, occorre che le responsabilità siano chiare. Sono per il perdono, non per l'oblio; con questo non c'è perdono, perchè ci sia serve che il dolore sussista. Non va bene: gli sbagli si pagano. Uno Stato serio non lascia nessuno morire di fame, ma non può far finta che la scelta della libertà sia come quella della sopraffazione.


P.S.: un premio a chi scopre tutti gli errori della ineffabile "Redazione online" del Corsera!

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