venerdì 20 maggio 2011

Tanti archeologi

Una volta il collega S.P., ottimo archeologo, mi dimostrò quanto varie potessero essere le competenze che compongono la sua professione.
Gli diedi una mano a organizzare uno scavo simulato per la classe di suo figlio e avemmo l’idea di affidare a ogni bambino un ruolo e che questo avrebbe dovuto essere paritario. Decidemmo che ognuno sarebbe stato chiamato “archeologo” con l’aggiunta della specializzazione. “Archeologo archeometrista”, “archeologo medievista” oppure “preistorico”, “archeologo antropologo”, eccetera. Tuttavia, pensai che non ne avremmo mai trovate abbastanza, di specializzazioni, ma mi smentì. Quelle che la sua vasta esperienza identificò spaziarono dalle usuali partizioni temporali e da esperti di discipline come la geologia o la paleontologia a professionalità che chi non è archeologo, come me, avrebbe forse stentato a individuare: l’entomologo, il paleobotanico, il paleopatologo, il microstratigrafo, il disegnatore, ecc…, sino al fotografo.
Una evidente forzatura, almeno in alcuni casi, associarli alla dizione di archeologo – accettabile nell’attività didattica per l’intento di non gerarchizzare i ruoli interpretati dai bambini – ma perfetta per illuminare sulla quantità di competenze necessarie alla conduzione di uno scavo e all’interpretazione dei suoi risultati. Non si deve sminuirne alcuna. Prendiamo il fotografo: uno potrebbe pensare che serva solo a documentare, un clic in automatico e via andare. Invece sono dei geniali artisti, pieni d’inventiva, che associano alle competenze tecniche. Ne conobbi uno che aveva escogitato una mini-mongolfiera per effettuare riprese zenitali degli scavi; un altro che scatto dopo scatto delle collezioni di statuaria aveva acquisito una capacità creativa sull’uso dell’illuminazione e degli angoli di ripresa in grado di far parlare i marmi. Quando vedevi gli originali rimanevi deluso, e parecchio.
Insomma, l’archeologia, questa disciplina vissuta con atteggiamento duplice dalla società (con lo stolido fascino del mistero e la vertigine del tempo, da un lato, e l’insofferenza quando causa il blocco di un lavoro pubblico – ma la metro si deve far passare sotto i Fori Imperiali!), questa disciplina ci dimostra come l’uomo costruisca realtà complesse dove mettere in pratica la propria vocazione di animale sociale.
E a me, per mestiere, spetterebbe il compito di tutto capire per comunicare!

Nessun commento:

Posta un commento