lunedì 18 aprile 2011

Zeus e Mnemosine 2

È possibile distinguere due momenti educativi nella storia dell’arte, uno pedagogico e uno didattico.
C’è un’arte che aiuta l’uomo a crescere, a capire cose su se stesso, a riflettere criticamente sul proprio percorso evolutivo indagando e fornendo chiavi interpretative del suo essere nel mondo. Al di là di quelli iconici, il codice con il quale l’artista comunica con gli uomini suoi simili è quello delle memorie, personali e collettive, conscie e inconscie.
Il valore pedagogico del Kandinskij che, abbandonando il suo passato di pittore figurativo, un giorno dell’autunno 1910 dipinge intenzionalmente uno scarabocchio e riapre all’arte interi stadi evolutivi della psiche e dell’avventura umana, è innegabile tanto appare chiaro e forte[1]. I significati dello “scarabocchio” e del disegno infantile in generale come forma di rielaborazione di informazioni e ricordi, di codifica e rappresentazione degli avvenimenti che circondano il bambino, e con lui il “bambino-uomo”, sono stati spiegati da tempo[2]. È un ricreare le forme delle cose attraverso il gesto. «Kandinskij … spinse lo sguardo mentale così in profondità da riguadagnare l’esperienza del movimento artefice della realtà delle forme. Un’esperienza, questa, che è già storicizzata, sedimentata, obiettivata, nello stesso tessuto organico dell’occhio, e che per congenialità l’occhio sa trovare nel cuore di ogni cosa del mondo o nel mondo stesso preso come cosa a sé.»[3]
Fontana che taglia la tela, che si chiede cosa ci sia dietro, che sconvolge la convenzione bidimensionale e si inoltra in concetti spaziali, richiama a tutte le nostri menti ricordi ancestrali e assomiglia al bambino che rompe il giocattolo per vedere che c’è dentro, da dove viene o dove continua quella parte del circostante posta alla sua attenzione[4]. Un gesto prepotente e candido al tempo stesso, violento e ingenuo: la conoscenza inizia con un atto di distruzione e rivelazione, non avendo attribuito all’oggetto alcun significato pregresso o aggiunto.
Ma prima c’è lo svelamento dell’inconscio. In questo la grande arte ha preceduto la psicanalisi.


[1] L’artista ci ha lasciato saggi teorici a spiegare le motivazioni della propria arte: W. Kandinsky, Della spiritualità nell’arte particolarmente nella pittura, trad. it., Religio, Roma 1940; Id., Punto linea superficie, trad. it., Adelphi, Milano 1968; Id. e F. Marc, Il Cavaliere azzurro, trad. it., De Donato, Bari 1967. 
[2] Per la letteratura in Italia, v. A. Oliverio Ferraris, Il significato del disegno infantile, Boringhieri, Torino 1973.
[3] M. T. Gentile, Responsabilità dell’immagine. Formazione dell’identità umana, Edizioni Studium, Roma 1981, p. 243.
[4] Su Fontana e lo spazialismo una esauriente bibliografia è contenuta all’interno di L. Colavero, Omaggio a Lucio Fontana, http://www.geocities.com/Athens/Agora/5156/.


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